Il Polittico del Paroto

E' ritornato a Brescia il Polittico del Paroto, splendida opera rinascimentale raffigurante la Madonna con Bambino e otto santi. Il prezioso quadro è giunto a Brescia giovedì 26 Luglio nella sede della Fondazione Cab, che ne ha effettuato l’acquisto presso la londinese casa d’aste Sotheby’s per 217 mila sterline ( circa 280 mila euro)

Il polittico del Maestro Paroto, dipinto nel 1447 per la pieve di San Siro a Cemmo è stato riportato nella sua "sede naturale", ovvero la nostra provincia, dopo due secoli di peregrinazioni. Opera fondamentale per la storia dell’arte bresciana, è un dipinto noto agli studiosi, anche perché dai resoconti ottocenteschi di Stefano Fenaroli si apprende che sulla tavola centrale erano un tempo visibili la data d’esecuzione, il rimando al committente e la firma “Parotus”, unica attestazione nota del nome di questo eccezionale artista lombardo di cui esistono ancora solo rarissime opere tra cui un altro polittico di proprietà del museo Bagatti–Valsecchi di Milano. Il dipinto, che decorava l’altare della Pieve, venne smontato e venduto. Pervenne prima nelle raccolte di Michele Cavalieri a Milano, poi nel 1873 nella collezione del banchiere Enrico Cernuschi a Parigi e negli anni Sessanta del Novecento l’opera ricomparve presso la Galleria di Daniel Wildenstein a New York dove venne prontamente riconosciuta e pubblicata da Gaetano Panazza, allora direttore dei Civici musei cittadini. Il valore storico documentario del Polittico è fuori discussione, anche se lo stato di conservazione appare per certi aspetti turbato da alcuni vecchi interventi.
Il dipinto rappresenta una Madonna con bambino e il committente. E’ attorniata da otto formelle, quattro per lato, contenenti a sinistra: Santo Stefano, San Ludovico, San Siro, San Giovanni evangelista; a destra: San Michele, San Giovanni Battista, Sant’Apollonia e Sant’Agata.
Inizialmente il dipinto, dopo un'analisi dello stato di conservazione da parte di un pool di esperti, sarà custodito nel caveau della Fondazione CAB e poi, a settembre, sarà esposto al pubblico che potrà ammirare uno dei più fulgidi esempi dell'arte rinascimentale bresciana.

A proposito di polittico....
Il polittico (dal greco polu- "molte" + ptychē "pieghe") è un dipinto (o rilievo) su legno o tela, costituito da più parti unite fra loro da una cornice fissa o da cerniere, in modo da creare sportelli richiudibili.
In genere poggia su una predella e può essere completato in alto da una cimasa. Se le parti che lo costituiscono sono due viene chiamato più precisamente dittico dal greco "diptykos" - piegato in due; se le parti sono tre viene chiamato trittico dal greco "triptykos" - piegato in tre. Può essere dipinto sia sul davanti (recto) che dietro (verso). A volte i pezzi che lo compongono sono fra loro scollegati e al suo interno ci possono essere composizioni minori, come dittici o trittici.
Nell'ambito della pittura religiosa in particolare, il polittico è stato spesso utilizzato come pala d'altare nelle chiese. In questo caso può raggiungere dimensioni notevoli sia in altezza che in larghezza, come il Polittico del Giudizio Universale di Rogier van der Weyden che quando è aperto misura 560 centimetri. Anticamente esistevano polittici molto più piccoli, usati nelle case per la devozione privata e addirittura trittici o dittici portatili da viaggio. I soggetti rappresentati nei vari scomparti erano scelti e disposti secondo un preciso programma iconografico, in modo da collocare i più importanti al centro della parte anteriore.
Il polittico fu molto amato nel Nord Europa dove, forse a causa delle condizioni climatiche, l'affresco ebbe molta meno diffusione (a differenza di quello che accadde in Italia). I polittici nordici in genere, detti anche Flügelaltäre (altari con le ali - dal tedesco Flügel), sono del tipo a sportelli richiudibili e spesso contengono sia parti dipinte che parti scolpite. In Italia si preferivano polittici fissi, formati da sole tavole dipinte. I secoli di maggiore diffusione dei polittici furono il Trecento e il Quattrocento.


La Pieve di San Siro a Cemmo
La pieve di San Siro è stata eretta nei pressi di Cemmo, frazione di Capo di Ponte, in una posizione panoramica aggrappata alla nuda roccia su uno strapiombo che domina il fiume Oglio.Uno dei monumenti più singolari della Valle Camonica, questa chiesa affonda le sue radici in una storia dal sapore leggendario: la si ricorda già esistente nel VII secolo, in epoca longobarda, quando fu fondata forse a seguito dell’intervento missionario in funzione anti-ariana voluto dal vescovo della città di Pavia Damiano, come dovrebbe dimostrare la dedicazione a San Siro, patrono appunto di quella città. Successivamente la tradizione locale ha tramandato che proprio San Siro, martire leggendario del IV secolo, fosse stato il primo propagatore del Cristianesimo in Valle Camonica, tanto che nel 1689 la Comunità di Valle lo deliberò ufficialmente come santo protettore del territorio. L’attuale struttura della chiesa, di stile romanico-lombardo, risale al XI secolo, periodo nel quale la pieve fungeva da punto di riferimento non solo della comunità cristiana, che qui si ritrovava per ricevere i sacramenti, ma anche della vita amministrativa, che si rifletteva nel pagamento di decime, canoni di locazione e rendite. Degli edifici adibiti ad abitazione del pievano e dei sacerdoti, che allora dovevano circondare la nostra pieve, non ne rimane oggi più traccia. A quei tempi la pieve di San Siro era il punto di riferimento di un vasto tratto di Valle Camonica che si estendeva a sud fino ai paesi di Losine e Braone, ed a nord fino a Paisco Loveno e Berzo Demo. Solo successivamente il suo potere venne sostituito dalla nascita delle parrocchie locali. Nel XVI secolo la pieve risultava già in decadenza, tanto che fu obbligatorio rifare il campanile che minacciava di cadere. Nel 1535 la chiesa di Santo Stefano ottenne il titolo di parrocchiale di Cemmo, grazie anche alla sua posizione più comoda racchiusa nelle mura del paese: così la pieve perse il ruolo di chiesa primaria anche nella sua stessa comunità. Nel marzo del 1580, durante la visita del Cardinale di Milano Carlo Borromeo, si segnalò sia che il tetto doveva essere rifatto, sia che bisognava murare la porta che si apriva verso settentrione. A inizio settecento la struttura della pieve era tanto precaria che crollò perfino parte del coro. Nel 1912 un ampio intervento di restauro fu compiuto ad opera dello Stato: vennero recuperati e riposizionati alcuni elementi del portale che erano caduti, venne rifatta interamente la parete settentrionale del coro, così come la copertura lignea del tetto, eliminando le volte a crociera della navate laterali ed il soffitto a cassettoni della navata centrale. Si intervenne una seconda volta nel 1921 rialzando il livello del pavimento nella parte centrale e della cripta, e un’ultima volta tra il 1992-1995 per interventi strutturali sull’edificio e sul campanile. Si può accedere alla pieve attraverso due percorsi: il primo aggirando e successivamente valicando il colle che la separa dal Pian delle Greppe e da Cemmo, il secondo salendo da una scalinata costruita negli anni trenta del novecento che la congiunge a valle con l’abitato di Capo di Ponte ed il fiume Oglio. La struttura si presenta disposta in direzione est-ovest, con gli unici portali d’accesso rivolti in direzione sud: ad ovest è infatti posizionato il campanile, mentre ad est le tre absidi danno direttamente sulla parete rocciosa che precipita sul fiume. La pieve si presenta con una parete in blocchi di pietra a vista sulla quale si apre nel centro del lato meridionale un portale in pietra bianca riccamente decorato con motivi vegetali e animali fantastici; sull’ingresso la scritta “HINC DS INTRANTES AD TE BNDIC PROPERANTES” traducibile con “Benedici, o Signore, coloro che da qui entrano e a te si affrettano”. L’interno è composto da tre navate che sono disposte su vari livelli: quello centrale più rialzato rispetto ai laterali; lo stesso presbiterio è notevolmente rialzato rispetto al resto della chiesa, anche a causa della presenza della cripta nel livello inferiore. Sul fondo della pieve sono presenti dei gradoni, che secondo la tradizione ospitavano i catecumeni che non avevano ancora ricevuto battesimo e che pertanto non potevano mischiarsi con i cristiani. Di notevole interesse sono le spesse colonne che dividono le navate, decorate da capitelli con motivi vegetali o figurati. Sulle pareti rimangono solo alcuni dei dipinti che un tempo dovevano decorare l’interno della pieve: sul lato sud una Madonna con bambino ai piedi della quale vi è una figura inginocchiata con un rosario in mano; sul lato opposto si trovano invece una Madonna dei mestieri, un battesimo di Cristo ed una raffigurazione di Maria ed un santo. Nella navata settentrionale è inoltre da segnalare una notevole vasca battesimale di forma cilindrica ricavata da un singolo blocco di pietra, mentre inserito in una delle monofore che compongono gli absidi vi è un’epigrafe romana riutilizzata che riporta “] Munatio / [Fr]ontoni / [Fr]ont(onis) Ponticia / [ma]rito”.Attraverso una ripida scala in pietra si accede alla cripta, un angusto ambiente interrato sotto il presbiterio che rispecchia la sagoma a tre absidi del livello superiore. Secondo alcuni gli elementi preromanici presenti nei capitelli e nelle colonne suggeriscono la presenza di un luogo di culto cristiano databile ad un periodo tra l’VIII ed il XI secolo. Le pareti della cripta, seppure in maggior parte imbiancate, presentano due affreschi molto rovinati e di difficile lettura, che dovevano però esser indice di una decorazione pittorica diffusa anche in questo ambiente.
Informazioni
Indirizzo: Cemmo, via Pieve San Siro.
Apertura: Da marzo a settembre, il sabato, domenica e lunedì, dalle 15.00 alle 18.00.
Contatti: Pro Loco di Capo di Ponte – tel 0364.426619. Agenzia Turistico Culturale comunale di Capo di Ponte – tel 0364.42104 – 334.6575628

Pandolfo Malatesta a Brescia


Pandolfo Malatesta a Brescia
Tra il 1404 e il 1421 Brescia fu capitale di un piccolo stato retto da Pandolfo III Malatesta, esponente dell'antica famiglia riminese e signore di Fano. Dopo aver ricevuto in pegno la città dalla duchessa Caterina Visconti, Pandolfo Malatesta approfittò della grave crisi in cui era piombato il ducato di Milano ed estese temporaneamente il suo dominio a Bergamo e a Lecco, diventando, per alcuni anni, uno dei protagonisti dei conflitti attraverso i quali si precisò meglio la nuova geografia degli stati territoriali del Nord e del Centro Italia. Nel 1407 fissò la sua dimora nel palazzo del Broletto, dove nacquero anche i suoi figli naturali avuti dalla bresciana Antonia da Barignano. Per questo ampliò il palazzo, lo arricchì di un porticato decorato con la rosa malatestiana e fece costruire la straordinaria cappella di San Giorgio affrescata da Gentile da Fabriano che soggiornò presso la sua corte dal 1414 al 1419. La corte di Malatesta ebbe fine nel 1421 quando, dopo essere stato sconfitto dal Carmagnola, Malatesta fu costretto ad abbandonare Brescia e a ritirarsi a Fano.

La Morcelliana ha pubblicato nell’Aprile 2012, con il sostegno della Fondazione Cab, gli atti di un convegno su Pandolfo Malatesta svoltosi a Fano nell’Aprile dello scorso anno. L’opera, intitolata “Nell'età di Pandolfo Malatesta. Signore a Bergamo, Brescia e Fano agli inizi del Quattrocento” ricostruisce la storia della dominazione malatestiana tra la Lombardia e l'Italia centrale. In particolare l'attenzione verte sulla capitale, Brescia, una delle maggiori e delle più ricche città lombarde: un centro urbano e un territorio che hanno dimostrato di possedere delle importanti potenzialità agrarie, commerciali e manifatturiere, soprattutto nei settori tessile e metallurgico. I contributi raccolti ed esposti in questo libro permettono di conoscere meglio un periodo e una dominazione fino ad ora poco studiati, e toccano questioni come l'assetto del territorio, la delimitazione dei confini e i modi della gestione agraria. Nonostante la precarietà e lo stato di guerra pressoché continuo, la corte malatestiana ebbe un certo splendore e vi confluirono pittori, artisti, letterati e musici, la cui attività è qui studiata, principalmente, grazie ai ricchi registri contabili.



La Chiesa di Santa Maria della Carità a Brescia rinasce a nuova vita



(fonte: Fondazione CAB)

La chiesa di Santa Maria della Carità, conosciuta anche come chiesa del Buon Pastore, poiché retta fino al 1998 dall'adiacente monastero omonimo, è una chiesa di Brescia, posta lungo via Musei all'incrocio con via Gabriele Rosa. Impostata su una caratteristica pianta ottagonale, ospita un notevole apparato decorativo barocco e alcune opere, anche scultoree, degne di nota. 

Storia
La chiesa viene edificata a partire dal 1640 su progetto dell'architetto Agostino Avanzo, per volere del sacerdote Pietro Franzoni, superiore del Pio Istituto delle Penitenti, e grazie al contributo economico della popolazione.   Già nel 1654 la chiesa ha esposto, al suo interno, il miracoloso affresco della Madonna della Carità, opera della fine del Quattrocento - inizio Cinquecento, originariamente posta nel cosiddetto monastero di San Girolamo, retto dalle suore carmelitane, oggi ex Caserma Randaccio in via Lupi di Toscana.     Il cantiere di lavoro durò fino al 1655.   Il nuovo edificio si sovrappose al precedente, dedicato alla Maria Maddalena, con il ben preciso scopo di accogliere al suo interno una fedele riproduzione della Santa Casa di Nazareth, custodita nel Santuario della Santa Casa a Loreto, riproduzione che vi fu difatti posta nel 1658.
Del santuario precedente si mantennero i due altari laterali e le relative pale, che furono ricollocati nella nuova chiesa e che ancora oggi sono presenti.       
La struttura subì importanti rifacimenti dal 1730 in poi, grazie all'interessamento del sagrestano Busi, nuovamente sostenuto dai fondi del popolo. L'altare maggiore viene sostituito da uno molto ricco e fastoso dei Calegari, in marmo, adornato da una elaborata balaustra sul davanti e, lateralmente, da due statue di Dionigi Cignaroli. Al centro fu posto l'affresco della Madonna della Carità. L'interno viene anche totalmente ridipinto: nel 1731 Giuseppe Orsoni affresca le pareti, mentre nel 1733 Bernardino Boni dipinge a olio le lunette sotto la cupola con i principali episodi della vita della Madonna. Anche la cupola, nel corso del secolo, sarà affrescata da Ferdinando Cairo e Luigi Vernazal.   Nel 1744 viene eretto il portale d'ingresso e, poco dopo, vengono posizionate, ai lati della facciata, le due statue di Antonio Ferretti e Alessandro Calegari. Altra opera di rilievo è la posa del pavimento ad elaborati e complicati intarsi marmorei, conservatosi pressoché intatto. Nell'Ottocento verrà installato, sulla cantoria in controfacciata, un organo Tonoli.
Alla fine dell'Ottocento la giurisdizione della chiesa passò alle suore del vicino monastero del Buon Pastore, dal quale la chiesa prese il nome che tuttora la accompagna accanto a quello originale. Nel 1998 le suore si trasferirono a Mompiano e, su disposizione del vescovo Bruno Foresti, l'amministrazione della chiesa fu trasferita alla parrocchia del Duomo.
Dal 1567 nel santuario si pratica la Santa Messa quotidiana, mentre la tradizione del Rosario risale al 1693.

Esterno
La facciata della chiesa è di genere tradizionale e non tradisce la conformazione ottagonale interna.    Il colore dominante è l'ocra, che diventa giallo chiaro in corrispondenza delle lesene, che dividono la facciata in due ordini: lesene doriche su quello inferiore e corinzie su quello superiore.  Sull'asse centrale si aprono il portale d'ingresso e, al di sopra, un grande finestrone rettangolare, mentre un timpano triangolare corona l'intera facciata. Ai lati di questa sono poste le due statue, prima citate, di Antonio Ferretti e Alessandro Calegari: in particolare qu
ella di quest'ultimo, a destra, rappresenta una figura femminile che regge il modello di una casa, a testimonianza dell'originario scopo per cui la chiesa era stata costruita, cioè ospitare la riproduzione della Santa Casa.  

Il portale
Il portale della chiesa di Santa Maria della Carità è, di solito, l'unico particolare per cui questo edificio è ricordato frequentemente. Le due colonne libere color ferro che lo compongono, difatti, provengono dall'antica Basilica di San Pietro de Dom, demolita nel 1603 per realizzare il Duomo nuovo: si tratta, perciò, di due delle sole dieci colonne giunte fino a noi delle ventotto originali che ne costituivano il colonnato interno.    Il materiale che le compone è marmo egiziano scuro ed erano, a loro volta, già colonne di spoglio di epoca romana, probabilmente estratte nei pressi del foro romano della città.    I capitelli ionici in sommità, ovviamente, sono successivi.

Interno
L'interno, come già detto, è impostato su una pianta ottagonale, dove è comunque favorito un asse principale grazie all'allineamento dell'ingresso e del grande altare maggiore, che si presenta come un grande involucro cubico in legno e marmo dentro il quale è custodita la riproduzione della Santa Casa.     Sulle pareti, diametralmente opposti e in linea ortogonale con l'asse centrale, si trovano i due altari laterali in legno, già contenuti nella precedente chiesa e qui ricollocati.In quello di sinistra è posta una pala raffigurante la Maria Maddalena di Antonio Gandino, a destra i Santi Sebastiano, Antonio e Rocco di Francesco Paglia, entrambe opere seicentesche. Sull'altare maggiore, invece, è conservato l'affresco staccato della Madonna della Carità.Alla chiesa è annesso un piccolo santuario e la canonica dove sono custodite altre opere degne di interesse, fra cui lapidi, affreschi del Cinquecento facenti parte della precedente struttura e tele di vari autori.

La meravigliosa cupola della Chiesa


La Chiesa della Carità rinasce a nuova vita


L’intervento di consolidamento della cupola è stato realizzato mediante l’installazione di ancoraggi orizzontali, passivi, inseriti in perfori passanti, di lunghezza totale variabile da 10,30 m a 14,00 m; gli elementi di rinforzo sono stati posizionati alla quota di imposta della cupola in corrispondenza dei lati dell’ottagono su due livelli sfalsati con l’incrocio in corrispondenza di ciascuno spigolo degli spicchi della cupola. L’effetto di cerchiatura, ad anello chiuso, necessario per contrastare le spinte orizzontali delle volte contrapposte è stato ottenuto col sormonto delle barre rettilinee nelle zone di ancoraggio alle estremità.


I sistemi di ancoraggio utilizzati per la messa in sicurezza delle chiesa